Il 23 novembre 1980, una domenica di 40 anni fa, quando erano da poco passate le 19:30, un terremoto di magnitudo 6.9 colpì l’Irpinia, la Basilicata e un’ area marginale della Puglia. Il sisma, causò secondo stime attendibili 2.914 morti, 8.848 feriti e circa 300mila senzatetto. Dei 679 Comuni, 506 (il 74%) ebbero danni da disastrosi a lievi, otto le province interessate Avellino, Benevento, Caserta, Matera, Napoli, Potenza, Salerno e Foggia. Tre furono le province maggiormente colpite Avellino (103comuni), Salerno (66) e Potenza (45).  36 Comuni dell’area epicentrale ebbero circa 20mila alloggi distrutti o irrecuperabili, mentre in 244 paesi delle province di Avellino, Benevento, Caserta, Matera, Foggia, Napoli, Potenza e Salerno, altri 50mila alloggi subirono danni da gravissimi a medio-gravi. In Basilicata simbolo di quella tragedia serale, resta il crollo del soffitto della Chiesa Madre di Balvano della Provincia di Potenza, dove rimasero  seppelliti dalle macerie 66 persone, per la maggior parte bambini e ragazzi. In quell’occasione, non solo i soccorsi, risultarono complessi ma anche il processo di ricostruzione delle case è stato lento. Di fronte alle immagini di disperazione, di precarietà e di bisogno che i mass media  diffusero in tutto il mondo, l’allora Presidente del Consiglio, Francesco Cossiga (DC) avviò la macchina dei soccorsi, guidata da Giuseppe Zamberletti, nominato Commissario straordinario del Governo. Fu in quel tragico avvenimento che in Italia nacque la Protezione civile con Giuseppe Zamberletti. In una zona particolarmente fredda e con l’inverno alle porte, gli sfollati furono accampati prima nelle tende e nei vagoni ferroviari, poi nelle roulotte, poi nei container, fino a quando non arrivarono i prefabbricati. Furono installati circa 11mila container e poi realizzati oltre 26mila prefabbricati. Nel novembre del 1981 – ad un anno dal sisma – il Parlamento approvò la legge 219, con ampia delega a Regioni, Province e Comuni che prevedeva finanziamenti destinati non solo alla ricostruzione, ma anche allo sviluppo delle aree terremotate.  L’impegno del Parlamento con la legge dedicata alla catastrofe, fa si che oggi l’opera di recupero del patrimonio edilizio, sia pure tra ritardi e lentezze e con tempi diversi da provincia a provincia, è ultimata sia in Campania, sia in Basilicata, mentre la prospettiva di sviluppo industriale è rimasta per gran parte inattuata. A Matera importante fu la scelta dei soprintendenti, specialmente quella dello storico dell’arte Michele D’Elia, che da soli due anni guidava il giovane Ufficio della città dei Sassi, e il conseguente operato dei gruppi misti delle Soprintendenze lucane, che furono impegnati, forti di un prezioso confronto interdisciplinare, nel rilevamento dei danni, spesso aggravati dalla mancanza di manutenzione o addirittura dallo stato di abbandono di molti edifici, in particolare quelli religiosi, attraverso la compilazione di semplici schede, che permettevano di valutare in maniera ordinata ed omogenea la situazione del patrimonio storico coinvolto.
Tra gli edifici più colpiti vi furono le chiese, di cui, tramite le schede, fu possibile registrare il crollo, lo stato di pericolo, i gravi danni o le semplici lesioni, che spesso seguono un quadro fessurativo già manifestato nel corso dei terremoti più antichi.
Già alla fine di dicembre il lavoro indefesso delle squadre operative miste aveva permesso di censire 1980 457 edifici storici danneggiati, di cui 130 con lesioni lievi, 153 con lesioni gravi, 89 pericolanti, 82 parzialmente o completamente crollati.
Tramite le schede fu anche possibile riconoscere e poi inventariare il patrimonio mobile conservato in questi ‘contenitori’ disastrati,  che doveva essere urgentemente recuperato e messo in sicurezza. Questa fu la principale azione della  Soprintendenza, che subito predispose a tal fine, a Palazzo Lanfranchi, uno speciale Deposito per il ricovero immediato delle opere d’arte. Il deposito fu allestito inizialmente negli spazi attigui all’attuale sala Levi per poi essere spostato nella Chiesa del Carmine annessa al Museo, dove venne realizzata una razionale struttura a più piani per contenere tutte le opere provenienti dall’area più colpita del Vulture. Un’altra struttura venne montata su terrazzo di Palazzo Lanfranchi. In Lucania dalle macerie del terremoto del 1980 è nata l’Università degli Studi di Basilicata, pensata come modello di eccellenza per l’intero Mezzogiorno.